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Tashi Delek

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by Daria

Quando vivevo a Pechino, una mia amica scopri’, in un vicoletto oscuro di un quartiere anonimo, un importatore mongolo di pashmine, la tradizionale stola di cashmere tipica della tradizione nepalese-tibetana-mongola-cinese. Io, che ero da anni in una fase contestatrice e simil-punk anche nell’abbigliamento, non ero avvezza a toccare tessuti cosi’ pregiati e morbidi: probabilmente e’ stato il mio primo vero contatto con un oggetto “di lusso”. E me ne innamorai. Ne comprai due, una arancione e una viola, e le riportai poi in Europa avvinghiata a loro trionfalmente, trascinandole da un trasloco a un altro e non separandomene quasi mai. Finche’ la mia sbadataggine prevalse, e tra un viaggio in treno e una serata al cinema, le persi tutte e due. Che peccato!

Pensavo che mai piu’ sarei riuscita a trovarne di simili, a meno di non prendere l’aereo e ritornare nella piccola botteguccia dietro il quartiere di Jianguomenwai, o tuttalpiu’ spendere dieci volte tanto e prenderne una in qualche negozio supercostoso di via Montenapoleone. E invece no. Perche’un giorno mi viene in mente di accanirmi su internet, e dopo aver cercato e cercato trovo un certo “Tashi Delek!” (“salute a voi”! in tibetano) che sembrava essere un negozio che le vendeva. Guardo la mappa, anche questo e’ in una via secondaria, che guarda caso e’ vicina al mio ufficio. 

Il giorno dopo ci vado, arrivo davanti al numero civico, e non c’e’ niente. O meglio c’e’ un portone smaltato di azzurro, in alto c’e’ attaccata una statuetta tibetana, e non c’e’ altro. Perplessa, a quel punto suono il citofono. Mi aprono, entro, e al piano terra di questo bel palazzo col cortile interno trovo una specie di openspace enorme, luminoso, pieno di bellissimi mobili e tappeti tibetani. Dentro c’e’una coppia mista lui italiano-lei orientale, che mi accolgono molto sorridenti. Io sono un po’ vergognosa e mugugno la parola: “pashmine?”. Loro allora mi portano in una stanza che da’ sulla strada, in cui ci sono degli scaffali di tek –meraviglia!- tutti pieni di pashmine, appunto, e sono bellissime e morbide e coloratissime ancora di piu’ di quelle di Jangguomenwai, e poi ci sono anche coperte tibetane di cashmere e cappelli e altre cose stupende. A questo punto voglio sapere tutto e quindi faccio amicizia con la strana coppia, e loro mi spiegano che vivono tra Milano e un villaggio nepalese al confine col Tibet, dove hanno costruito questa piccola fabbrica che produce le cose che importano. Mi fanno vedere le foto dell’azienda, immersa nel verde, e mi spiegano che si sono impegnati molto verso una produzione quanto piu’possibile ecologica e sostenibile, e che con i capitali realizzati hanno costruito una scuola attaccata alla fabbrica, dove possono andare i figli dei dipendenti. Intanto mi guardo intorno, in quella luce, in quella sensazione di pace, e mi accorgo di aver scoperto un luogo davvero prezioso, uno di quei pochissimi posti milanesi ma anche assolutamente non-milanesi che per me sono importanti perche’ mi proiettano in una dimensione parallela e diversa, una dimensione di cui ogni tanto ho assolutamente bisogno. Come l’aria.

Da quel giorno ho passato molte pause pranzo cosi’, scappando dall’ambiente poco piacevole dell’ufficio e dalle folle di manager di via Vittor Pisani e tuffandomi, proprio, letteralmente, nel silenzio di Tashi Delek. Corro li’, suono il citofono, e vengo accolta a braccia aperte, tra colori e forme bellissime, da persone con un modo di fare totalmente diverso da quello con cui ho avuto a che fare fino a quel momento della giornata. E respiro serena. Oggi ci sono tornata dopo un po’di tempo e mentre suonavo il solito citofono lo sguardo mi e’ caduto su una targhetta d’oro affissa sul muro del palazzo. C’era scritto, piu’o meno, “in questo luogo sono state custodite le reliquie del Buddha”. Cosi’mi sono informata, e ho letto questo articolo: che conferma appunto che qualche tempo fa, proprio nel cortile di Tashi Delek, alcuni frammenti di Siddharta sono stati trasportati in un’urna d’oro, diventando quindi l’elemento catalizzatore per una folla di religiosi, praticanti, e anche persone che volevano soltanto un momento di raccoglimento e di concentrazione.

Tashi Delek e’ si’ un negozio, ma e’ anche un tempio, a suo modo. Io pensavo che non fosse possibile conciliare due concetti cosi’diversi, praticamente opposti, ma non e’ vero. E meditare guardando sciarpe e’ bello quasi quanto meditare guardando le stelle del Planetario!


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